Nella nostra società sempre più multiculturale e multietnica, la conoscenza di una seconda lingua rispetto a quella madre, rappresenta sicuramente un vantaggio notevole per stare al passo con il mondo. Non a caso la sociolinguistica e la psicolinguistica hanno dedicato ampio spazio allo studio del “bilinguismo”. Ma che cosa si intende precisamente per bilinguismo?

Comunemente per bilinguismo si intende l’uso corretto e scorrevole di due lingue da parte di un individuo o di una popolazione. Chi è bilingue è in grado di utilizzare due sistemi linguistici diversi, totalmente intercambiabili. Tuttavia, il bilinguismo può assumere caratteri e sfaccettature diverse a seconda delle circostanze e dei tempi biografici in cui si è appresa la seconda lingua. Si può infatti diventare bilingui in età adulta, oppure lo si diventa fin da quando l’individuo si trova “dentro la pancia” della mamma, perché i genitori del futuro nascituro provengono da paesi diversi, con lingue diverse. In quest’ultimo caso i figli si ritrovano fin dalla nascita (alcuni studi affermano che anche prima della nascita il bambino percepisce le due lingue!) a dover comprendere e dover imparare la lingua di entrambi i genitori.

Ma quali effetti ha sul cervello umano l’esperienza del bilinguismo, specialmente quando vissuta durante l’infanzia?

Tutti gli studi sono ormai concordi sul fatto che il bilinguismo influenza in maniera positiva tanti altri ambiti cognitivi, non solo linguistici:

  • L’aver appreso fin dalla tenera età una seconda lingua, facilita senza ombra di dubbio l’apprendimento di altre lingue. I bambini bilingue infatti, capendo intuitivamente la struttura ed il funzionamento delle lingue, sono avvantaggiati e facilitati quando devono imparare una terza lingua.
  • Il bilinguismo comporta maggiore flessibilità mentale e quindi migliora la capacità multitasking. Il bambino bilingue infatti deve sempre tenere attive simultaneamente le lingue parlate, questo meccanismo esercita quindi il cervello allo svolgimento di più compiti contemporaneamente.
  • Al bilinguismo si accompagnano in genere maggiori abilità creative e artistiche e una superiore capacità di interpretazione del mondo.
  • Inoltre i bambini bilingui sono anche, nella maggioranza dei casi, più bravi a scuola. Il loro rendimento scolastico è molto buono proprio perché essi hanno imparato a “sapersi esprimere” in lingue diverse.

Non è dunque un caso se sempre più spesso i genitori scelgono per i proprio figli, anche molto piccoli, percorsi di apprendimento di una seconda lingua. Infatti, oltre alla ragioni appena elencate, i bambini che crescono con due lingue avranno un notevole vantaggio anche in età adulta, perché in un certo senso saranno “figli del mondo”. La conoscenza fluida di una lingua come quella inglese ad esempio, darà enormi vantaggi anche in termini professionali. Questo tipo di scelta è quindi, per molti genitori, un investimento per il futuro dei loro bambini.

Tuttavia sorge spontanea una domanda: come far diventare bilingue i propri figli quando in famiglia si parla una sola lingua?

Il primo consiglio è quello di iniziare molto presto. Dai 3 ai 7 anni infatti il bambino impara una seconda lingua in maniera molto intuitiva mentre dopo i 7 anni l’apprendimento si trasforma e diventa deduttivo. Entrambi gli approcci sono importanti, perché il primo riguarda l’apprendimento della lingua parlata il secondo della lingua scritta. Sarebbe quindi bene mantenere sempre attivo l’apprendimento di una seconda lingua e strutturare percorsi ad hoc a seconda dell’età.

Un altro importante dato riguarda il tempo che si dedica allo studio della seconda lingua: è necessario infatti che il bambino dedichi al suo apprendimento più del 30% del tempo che normalmente utilizza l’interazione. Inoltre l’esposizione alla nuova lingua deve essere costante durante tutte le fasi di crescita del bambino fino all’adolescenza.

Tra gli escamotage che possono essere utilizzati per favorire il bilinguismo senza forzare troppo i bambini, possiamo nominare la baby-sitter in madre lingua. L’approccio all’apprendimento di una seconda lingua deve infatti essere quanto più divertente possibile per il bambino. Imparare giocando è forse il modo migliore per stimolare anche l’interesse del bambino per la nuova lingua. Con la baby-sitter il bambino instaura un rapporto di tipo amichevole, quindi non si sente in esame o sotto controllo come magari potrebbe avvenire nel rapporto insegnante/alunno.

Non solo baby-sitter in madre lingua ma tanto altro: frequentazione di amici o parenti stranieri, partecipazione a laboratori studiati ad hoc, giochi in lingue, insomma sono tante le modalità con cui avviare un percorso verso il bilinguismo.

Qualsiasi metodologia verrà utilizzata una cosa è certa: i genitori non se ne pentiranno e saranno davvero orgogliosi quando i loro figli sapranno parlare, probabilmente meglio di loro, una nuova lingua